MUSICAL TIME – 14 GENNAIO 2011

INFORMAZIONI:

Quando:

14/01/2011 - 14/01/2011


Dove:

Auditorium S. Chiara - Trento


DESCRIZIONE:

“TIME”: una serata di suggestioni tra danza, musica e poesia di Gabriella Brugnara

Una narrazione intessuta di spunti di riflessione ha costituito il filo conduttore attraverso cui il Musical TIME ha elaborato una suggestiva rilettura dei tre decenni della nostra storia che vanno dalla costruzione alla caduta del muro di Berlino. A dar vita alla serata si sono riuniti sul palco dell’Auditorium santa Chiara il commento puntuale del narratore; l’ottima musica della “Time Band” con chitarre, batteria, tastiere, voci femminili e maschile; la coinvolgente danza della “Compagnia Danza Viva”, e una sapiente interpretazione coreografica.
Lo spettacolo, andato in scena per la prima volta a Milano il 28 giugno 2010 su invito del Console Generale di Germania nell’ambito delle celebrazioni per il Ventennale della Riunificazione Tedesca, è stato riproposto in un Auditorium santa Chiara riservato ai dipendenti provinciali e ai loro familiari, che hanno aderito numerosissimi ad una sollecitazione che non si presentava certo di carattere puramente evasivo.
La rappresentazione assume come punto di inizio il 13 agosto 1961, data in cui è stata avviata la costruzione del muro che per ventotto anni, fino al 9 novembre 1989, ha mantenuto divisa e lacerata la città di Berlino, condizionando le aspettative di pace dell’Europa e del mondo intero.
L’atmosfera che si respirava allora era densa di contraddizioni: da un lato il boom economico, dall’altro lo spettro della guerra fredda; e, mentre il progresso “macinava linguaggi e stili di vita”, di pari passo un altro muro, invisibile ma tenace, si innalzava tra le persone: quello dell’incomunicabilità, quello che vibrava delle emozioni di The sound of silence di Simon e Garfunkel, interpretazione accolta con uno scrosciante applauso dal pubblico dell’Auditorium.
La serata cresceva mentre il narratore ripeteva con sempre maggior enfasi “I have a dream today”, le parole con le quali Martin Luther King guardava al futuro in un discorso pronunciato a Washington durante la marcia per la libertà del 28 agosto 1963: “Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza”.
Questo sogno trovava poi le sue ali per volare attraverso la musica dei Beatles: “Help! Help, I need somebody, Help, not just anybody, Help, you know I need someone, Help!” e si espandeva con il mondo che John Lennon immaginava nel 1971:

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…

L’uomo aveva già messo il piede sulla luna, ma questa promessa di futuro si scontrava con la violenza della guerra in Vietnam e con le tante manifestazioni per la pace che nascevano e diventavano anche occasione per manifestare il disagio e la frustrazione in un mondo che metteva al primo posto il profitto. Intanto a Betel, piccola città rurale di New York, la cultura hippy raggiungeva l’apice della notorietà con il festival di Woodstock, tenutosi dal 15 al 18 agosto 1969, che voleva riunire le aspirazioni giovanili in una “tre giorni di Pace e Musica”. Pochi mesi più tardi l’opinione pubblica veniva sconvolta dai primi morti illustri per droga: Jimi Hendrix, Jim Morrison e, un decennio più tardi, Bob Marley.
Vestite da “figlie dei fiori” le ballerine raccoglievano scroscianti applausi dal pubblico; il ritmo dei loro movimenti flessuosi cedeva a tratti lo spazio al narratore che proponeva versi da Quasimodo, da Prévert, da Kavafis, ma anche da Bertold Brecht. In un intreccio fra italiano, francese, greco, si sono susseguite brevi letture da “Uomo del mio tempo e da Alla nuova luna” di Quasimodo, e altre più estese da Barbara e da Questo amore di Prévert.
La guerra voluta dai pochi, e l’aspirazione alla pace, alla giustizia e all’amore perseguita da tutti gli altri, da sempre costituiscono i due volti stridenti dell’esistenza umana sulla Terra, da “Quando il fratello disse all’altro fratello: /«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,/ è giunta fino a te, dentro la tua giornata.” (Uomo del mio tempo, Salvatore Quasimodo).
Da allora infinite altre voci si sono elevate a cantare la forza della pace e dell’amore, non come utopia ma come presenza concreta, anche nella dimensione individuale che in quegli anni era proposta da Prévert:
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero

Lo spettacolo ha raggiunto il suo punto forse più significativo quando in un’efficace coreografia che sembrava sprigionarsi dall’improvviso contrasto tra luce e buio, le note di Another brick in the wall dei Pink Floyd sembravano riempire l’Auditorium di ricordi e di un forte monito per il futuro: occorre vigilare, vigilare sempre perché altri muri non sorgano in quanto “Il sonno della ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos)”.
Con questa citazione dall’acquaforte e acquatinta realizzata nel 1797 da Francisco Goya, si è concluso TIME, un musical che attraverso una raffinata scelta di canzoni, di testi e di coreografie danzanti, si dipana in un percorso di suggestioni che il pubblico in sala ha dimostrato di apprezzare molto.

GRAZIE A TUTTI!